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martedì 30 luglio 2013

Please The Trees - A Forest Affair

Please the Trees | A Forest Affair

https://myspace.com/pleasethetrees

Tracklist
1    Getting Ready       
2    Hell On Earth       
3    She Made Love To The Moon       
4    Let The Wind       
5    New Heart       
6    Nobody No One       
7    When You Are Lost       
8    Branches       
9    Sleep       
10    Paint This City Green

Misophone - Before The Waves Roll In

Before the waves roll in

https://myspace.com/misophone

Tracklist
1.I Too Allow Myself To Dream
2.White Horses In A Yellow Sun
3.Hide From Reality
4.A Postcard From The Past
5.Old Unwelcome Guest
6.The Fear
7.In Search Of Beauty
8.A Mother's Last Word To Her Son
9.Backwards Up A Stream
10.In Search Of Beauty (Reprise)
11.There's Nothing Wrong With Love
12.The Waiting Game
13.The Year The Curtains Froze
14.Never Forget
15.Sleep Soundly In The Setting Sun
16.Don't Make Room For The Devil
17.Mountain Low
18.The Guillotine Walls
19.The Last Bastion
20.Before The Waves Roll In

Tutto è cominciato con una cassetta di “Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band”. Matt Welsh racconta di essere rimasto ossessionato fin da bambino da quei suoni colorati e bizzarri. E non c’è da stupirsi che la musica cui ha dato vita al fianco di Steven Herbert sotto l’egida Misophone sia sempre stata animata da quella stessa vocazione a un pop obliquo ed eccentrico.
Nella torrenziale discografia dei Misophone, però, “Before The Waves Roll In” non rappresenta un capitolo qualsiasi: “È finora il nostro album più grande in termini di portata e finalità”, afferma deciso Welsh. “È più orchestrale di qualunque altra cosa abbiamo realizzato prima”. Non a caso, si tratta del primo disco pubblicato dal duo per l’etichetta svedese Kning Disk dopo i due episodi che più di tutti hanno fatto brillare l’astro dei Misophone, “Where Has It Gone…” e “Be Glad You Are Only Human”, usciti tra il 2008 e il 2009.
Rispetto ad allora, il suono dei Misophone ha barattato un po’ della sua lucida follia per un’intimità sempre più votata al cesello melodico: ed in effetti, “Before The Waves Roll In” si presenta sin da subito come il disco più eelsiano di sempre del duo inglese. Lo si sente già nell’ouverture strumentale di “I Too Allow Myself To Dream”, con la sua inconfondibile atmosfera polverosa e nostalgica, e a confermarlo ci pensa l’intarsio di intermezzi sospesi (“A Postcard From The Past”) e sognanti bozzetti (“Hide From Reality”) che si dipana per tutto il disco, riportando le lancette dell’orologio ai tempi di “Blinking Lights And Other Revelations”. “Una specie di sigla televisiva perduta di un programma per bambini degli anni Cinquanta e Sessanta”, per usare la suggestiva definizione data da Welsh all’estetica musicale dei Misophone.
Poi, la voce della cantautrice americana Aubben Renée (meglio nota come Craven Canary) accompagna con la sua carezza la fisarmonica di “White Horses In A Yellow Sun”: “Some sailors live their lives alone/ Some boys never had a home”, sussurra tratteggiando in pochi versi tutto lo spirito solitario e vagabondo dei Misophone.
Il tono cantautorale della prima parte dell’album, che rimanda direttamente al precedente “Another Lost Night” lasciando da parte i profumi balcanici dei primi dischi del duo, non manca comunque delle tipiche stravaganze della premiata ditta Herbert & Welsh: “Ci sono più suoni campionati di quanti ne abbiamo mai usati in precedenza, comprese alcune strane registrazioni casalinghe e field recording provenienti dagli anni Quaranta e Cinquanta” spiega Welsh, quasi a voler ribadire l’apparenza fuori dal tempo del disco suggerita dall’artwork di Jockum Nordström.
Non manca nemmeno il consueto omaggio alla passione dei Misophone per le cover, già messa in mostra anche nel volume di OndaDrops dedicato allo psych-pop: in questo caso, “The Fear” dei Pulp si trasforma in una ballata spettrale, infestata di ectoplasmi di singing saw, mentre dalla soffitta del prewar folk arriva una versione da carillon di “A Mother’s Last Word To Her Son” di Washington Phillips.
A fare da contraltare all’uniformità iniziale dell’album, la seconda parte di “Before The Waves Roll In” torna a lasciare più spazio all’inventiva, a partire dall’irresistibile giostrina di minimalismo pop alla Daniel Johnston di “Don’t Make Room For The Devil”. Decisivo in questo senso è il contributo del trombone di Alone With King Kong, altro fidatissimo collaboratore dei Misophone, che proietta orizzonti di frontiera sul passo incalzante di “The Guillotine Walls”. Nonostante la quantità dei brani – e qualche dispersione di troppo lungo il percorso – “Before The Waves Roll In” riesce così ad offrire fino alla fine tutte le sfaccettature del suo classico caleidoscopio.
Tra il fischiettio “Old Unwelcome Guest” e l’orchestrina ragtime di “Mountain Low”, i Misophone catturano un brano dopo l’altro la loro personale collezione di racconti, riuscendo a dare ad ogni istantanea un risvolto di mistero grazie al più piccolo dei dettagli. Del resto, è proprio negli angoli più oscuri che si nasconde di solito la bellezza: “If you be in search of beauty/ Go where the beauty dwells/ And know that all the darkened nights/ One beauty will dispel”. (Ondarock)

ILikeTrains – The Shallow

The Shallows

http://www.myspace.com/iliketrains

Tracklist
01 – Beacons
02 – Mnemosyne
03 – The Shallows
04 – Water Sand
05 – The Hive
06 – The Turning of The Bones
07 – Reykjavik
08 – We Used to Talk
09 – In Tongues

La copertina del nuovo disco degli I Like Trains - o se preferite iLIKETRAINS - è fatta in modo da creare ambiguità: il titolo The Shallow, bello in grande piazzato in alto come se fosse il nome della band, e I Like Trains relegato in una posizione defilata, come se si trattasse del titolo dell'album.
Una volta schiacciato play, tutto torna al posto giusto e sappiamo bene cosa aspettarci da David Martin e soci che qui ripropongono le caratteristiche che ne hanno fatto una sorta di scheggia impazzita del panorama musicale in perenne movimento tra l'universo indie rock e l'universo post-rock.
The Shallow è un concept sull'alienante e deteriorante rapporto uomo-macchina sempre più macchina-uomo e non sorprende se ad aprire il disco ci pensano le partiture roboto-kraute di Beacons, che si tramutano in ritmiche che ricordano quelle dei primi Foals tenute a freno in Mnemosyne e nella titletrack. Come sempre è la voce mai troppo sopra le righe di David - alla lontana parente del baritonale Matt Berninger, di Tom Smith ma può ricordare anche Thomas Cohen degli S.C.U.M. - che ha il compito di disegnare pseudo-melodie sui freddi tappeti strumentali, a volte scarni e minimali, a volte invece epici e grandiosi.
La componente tipicamente post-rock è qui quasi assente - se non nei fraseggi di Reykjavik - per il resto sono astrutturati brani indie/post-punk impregnati di lenta tensione a farla da padrone. Produce Richard Formby (vedi Wild Beasts) creando atmosfere livide - gli ultimi The Twilight Sad non sono troppo distanti - che solo raramente regalano quel brivido che in più di una occasione viene cercato.
Al terzo album - escludendo l'EP d'esordio Progress Reform - gli I Like Trains continuano a non convincere al 100% ma si riconfermano un gruppo sincero e con le proprie coordinate musicali, incastonate in una proposta che difficilmente riuscirà a fare nuovi proseliti. (SentireAscoltare)

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